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Storia di Cavaso del Tomba

L'ampia Valle Cavasia (o Valcavàsia), che scende dolcemente dalle pendici meridionali del Monte Grappa verso il fiume Piave, è un'area che ci fornisce notevoli notizie storiche, anche molto antiche.
Già 7.000-8.000 anni avanti Cristo l'Uomo preistorico vi si era insediato e vi cacciava attivamente: lo testimoniano le selci lavorate più o meno rozzamente che sono state rinvenute, ad esempio, lungo le Valli del torrente Ponteggio, del Gòrch e del Pian di Cavaso, nonché alcuni grossi denti di animali erbivori e gigantesche corna di cervo.
La Valcavasia, dal 500 avanti Cristo circa, era abitata molto probabilmente da tribù di origine germanica (i Celti).

Il documento più antico di tutta la Provincia di Treviso, scolpito su pietra, data al secondo secolo avanti Cristo, ed ha l'onore di essere conservato in Cavaso, nella chiesetta di S. Martino di Castelcies.
Si tratta di un piccolo blocco di roccia del luogo, grezzamente squadrato, che su un lato reca una iscrizione in lingua retica (i Reti erano gli abitanti del Trentino e delle Prealpi Venete, fino al limite con la Pianura) e sull'altro una iscrizione in lingua latina antica.

Dell'epoca dell'Impero Romano, Cavaso possiede due lapidi.
La prima, dedicata a Calpurnio Saturnio, è anch'essa conservata in S. Martino di Castelcies.
La seconda, rinvenuta nel 1700 fra le rovine del castello di Castelcies, è dedicata ad Arunnia Nigella ed è attualmente murata e ben visibile sulla parete meridionale del Museo Civico di Asolo.

Alla caduta dell'Impero di Roma, anche la Valle Cavasia venne interessata dalle invasioni dei popoli germanici (Unni, Goti, Longobardi) e le culture latina, germanica e del nascente cristianesimo si fusero lentamente assieme per dare origine ad uno dei periodi che per Cavaso è motivo di vanto e di orgoglio: il Medio Evo e l'epoca dei castelli.

I Conti che poi si diranno "Da Cavaso'', di origine germanica, sono scesi in questa vallata forse già fin dal 750 dopo Cristo, ma i documenti che ce lo potrebbero confermare (almeno per ora) non sono ancora stati rinvenuti.
E invece del 780 dopo Cristo il documento che ci parla per la prima volta di Cavaso e del colmello di Virago: vi si legge infatti che un tale Chierico Felice donò terreni e schiavi a sua figlia Gisana "in loco Capati, vico Viriacus''.

Nell'anno 1000, il giorno della Santa Pasqua, tutto il territorio del Trevigiano venne colpito da un terribile terremoto.
In questi anni Gherardo dei Maltraversi fa costruire la fortezza di Cies, cioè Castrumcaesum, da cui il nome attuale di Castelcies.
Nel 1141 Walperto I Da Cavasio è addirittura Economo e Vicedomio della Curia del Vescovo Gregorio di Treviso e per circa trent'anni sarà una delle figure più importanti in Treviso.

Nella Bolla papale del 3 maggio 1152, scritta da Eugenio III, viene confermato il diritto del Vescovo di Treviso sulla Pieve di S. Maria di Cavaso, cioè sulla attuale chiesa parrocchiale.

Negli anni 1153 e 1154 la fortezza di Cies è prima conquistata dai Signori da Crespignaga (Guidotti) e poi dalla milizia della città di Treviso.

I Da Cavaso, sempre più stimati e potenti, amici del Vescovo di Treviso, stipulano contratti di compravendita con i Da Romano (altra grande famiglia del Pedemonte) e sono chiamati ad essere presenti come testimoni durante la scrittura dei più importanti documenti di quel periodo storico: li troviamo infatti a Treviso, a Feltre, a Conegliano, a Milano, ecc.

Nel frattempo, in Europa, emerge su tutte la figura di Federico I, detto il Barbarossa.
Verso il 1170 Walperto I da Cavaso è colui che ricopre la massima carica nell'ambiente della Giustizia: è infatti Giudice di Treviso e suo rappresentante nella pace di Costanza (1183).

In questo periodo i Conti da Cavaso acquistano anche il castello o Bastia di Onigo. Notevoli le battaglie e le guerre combattute tra Feltre, Conegliano, Treviso e Padova. Nel 1196-1197 Walpertino Il da Cavasio, figlio di Walpertino I, fu scelto come Capitano Generale dai Trevigiani, nella battaglia di Cesana (Belluno), combattuta contro i Feltrini del Vescovo Gerardo. Ambedue i capi morirono in battaglia e, secondo alcune voci, Walpertino Il sarebbe stato sepolto nel suo castello di Cavaso, dopo aver ricevuto un ultimo pubblico saluto dalla città di Treviso.
Nel frattempo i Da Cavaso vendevano progressivamente i loro beni in Cavaso, trasferendo ad un certo momento la loro corte in Onigo: dal 1200 in poi li troviamo infatti, in tutti i documenti, come Conti Da Onigo. La nobile discendenza della famiglia Da Onigo avrà termine solo dopo il 1800.

Nel dicembre 1222 si registra un altro forte terremoto e i danni, specialmente in Treviso, sono molto gravi.

Dalla Bolla papale "Religiosam Vitam" del 2 marzo 1231, inviata da Papa Gregorio IX all'abate Buonincontro di Nervesa, si apprende che la chiesa di San Martino di Castelcies è proprietà dei Conti di Collalto e di San Salvatore di Susegana e che è soggetta alla amministrazione religiosa dei frati benedettini dell'Abbazia di Nervesa.

Dopo il 1200 lungo il Pedemonte del Grappa diventa potentissima la famiglia dei Da Romano, soprattutto con le azioni politiche e militari dei fratelli Ezzelino IV il Tiranno e Alberico, controllando praticamente i domini di Treviso, Feltre, Vicenza, Padova e Verona.

Il 9 febbraio 1254, Ezzelino IV conquistò il Castello di Onigo, imprigionando il Conte Giovanni, i suoi familiari e i suoi seguaci. Dopo undici anni di torture e digiuni forzati, Ezzelino fece firmare al Da Onigo un falso documento di vendita del proprio castello. Questo venne considerato da Treviso come un atto di alto tradimento e la riabilitazione pubblica dei Da Onigo, dopo la morte violenta di tutti i componenti la famiglia Da Romano il giorno 24 agosto 1260, sarà estremamente faticosa e darà luogo ad un grande processo pubblico, durante il quale viene ascoltato un grande numero di testimoni.

Scomparsi dalla scena politica i Da Romano, mentre a Treviso prendevano lentamente possesso i Da Camino, nella Valcavasia centrale comandavano praticamente i Da Castelli, ramo discendente dei Maltraversi, che erano già stati Conti di Pagnano, Fonte, Paderno, Colmuson e Castelcies. I Da Onigo, nel frattempo, avevano rivolto i loro interessi verso Onigo, Covolo, Levada e la stessa città di Treviso.

Il 2 aprile 1263 si ha la prima azione militare dei Da Castelli in Treviso. Lo scopo è quello di impossessarsi della città al posto dei Da Camino. I Da Castelli vengono però scacciati; la famiglia rivale, viene vista come "liberatrice" e, come è nello spirito dei vincitori, ancor più stimata e potente.

Il 3 novembre 1269, tanto per gradire, ecco un altro violento terremoto in tutto il Veneto: cade una parte della Rocca di Asolo, del convento di Santa Cristina di Treviso, dell'Arena di Verona. Grossi massi, caduti dai monti, chiudono per oltre tre mesi la via che porta a Quero e a Feltre.

Nel 1272 i Conti Da Onigo vengono reintegrati completamente nei loro diritti e nei loro possedimenti.
Nel 1283, dal 15 novembre in poi, i Da Castelli tentarono di nuovo di rovesciare i Da Camino in Treviso. Il popolo però insorse a fianco di questi ultimi e i fratelli Gherardo, Jacopo e Bonifaccio Da Castelli vennero messi in fuga. Bonifaccio, raggiunto da Gherardo Da Camino nella piana tra Fonte e Pagnano, venne trucidato assieme ai suoi duecento fanti. Occupato il castello di Fonte, Gherardo Da Camino puntò verso la Valle Cavasia e distrusse quelli che si trovavano in capite Plebis Cavasii (= Parrocchia di Cavaso), Oblerdi (= Obledo), Castelonge (= Costalunga), Castelciesi (= Castelcies), Castellorum (= Castelli da Monfumo), Queri (= Quero), Campi (= Campo di Alano), Cumirani (= Colmirano di Alano).
Ha così fine la storia del castello di Cavaso e inizia la leggenda basata sulle gloriose gesta di cui era stato testimone per oltre trecento anni.

Dopo il 1300 l'influenza di Treviso diminuì rapidamente, mentre la Serenissima Repubblica di Venezia volgeva ormai i suoi Interessi più verso la terra ferma veneta che non verso i ricchi mari del Mediterraneo orientale.
Verso il 1320-1340 diversi territori si sottomettono al dominio della Serenissima.
Dalla lettera del Doge del 18 aprile 1339 apprendiamo i nomi di pievi e colmelli (detti anche "Ville") che vengono posti sotto l'amministrazione mandamentale della nuova Podesteria di Asolo:
"Sub Podesteria sunt villae istae, videlicet: "Terra Asyli, Braida, Altivole, Pagnanum, Clauditor (= Colle Aldior di Monfumo), Plebs Cavaxi (= Parrocchia di Cavaso), Obledum, Vìragum, Gurgum (Gòrch, cioè Caniezza), Castrum caesum (= Castelcies), Possagnum, Costalonga Plebs Sanctae Ilariae (= Sant'Eulalia), Crespanum, Col de Muson, Col de Padernum, Fleta (= Fietta), Padernum, Canile, Monfumun, Cornuda, Nogaredum (= Nogaré di Cornuda), Colbertaldo, Masère, Muliparte, Castelli, Bursium, Summontium (= Semonzo), Plebs de Costis, Casellae, Crispignaga, Castrumcuchum (= Castelcucco)".

Poco dopo, nell'anno 1340, Odorico, Ezzelino e Andrea Da Onigo, discendenti diretti dei Da Cavaso, presentano al Senato Veneziano la domanda per ottenere la nobiltà veneziana.
Devastato dagli Ungheri nel 1347 e colpito da una grave peste l'anno successivo (peste che quasi dimezzò la popolazione italiana del tempo), Cavaso risorse lentamente sotto il dominio e le ferree leggi che via via erano imposte da Venezia.
I prodotti e l'importanza strategica della Valle Cavasia sono stimati importanti anche in seguito, se ancora gli Ungheresi nel 1412 e i soldati di Massimiliano d'Austria nel 1509-1511 vi compiranno scorrerie e devastazioni.

Dal 1500 in poi a Cavaso comincia a fiorire tutto un complesso di rinomate attività artigianali che ne faranno uno dei centri commerciali più importanti del Pedemonte del Grappa. Infatti, ancor oggi i mercati tradizionali sono quelli di Bassano, Crespano, Asolo, Castelfranco, Cornuda, Cavaso e Montebelluna.

Un grave colpo a questa ripresa fu quello inferto dagli eventi naturali avversi nell'anno 1695.
Il 25 febbraio, giorno di Santa Costanza, un pauroso terremoto e, il 30 giugno le piogge torrenziali e l'alluvione.
Nel corso dell'alluvione, il torrente Curogna e la Roggia di Caniezza, spaventosamente ingrossati «... allargarono la valle accumulando nelli terreni più bassi e più fecondi tanta quantità di giara che per molti anni riuscirà impossibile il renderli fruttiferi. Restò pure in gran parte diroccato il follo da panni e rasse (panni grezzi), che in numero considerabile annualmente in quel comune si fabbricano. Rimansero pure distrutte le case dei due molini e quasi del tutto le ruote dei medesimi sotterrate».

A Don Giovanni Zanetti, allora Parroco e addirittura Dottore, il campito di scrivere della tragica situazione al Senato, evidenziando che «... a Cavaso, a cui il terremoto portò un danno di duecentottantadue case, tra precipitate a fundametis, diroccate et danificate,la Chiesa considerevolmente crepata, et canonica, dieci chiese campestri diroccate affatto, che non si può più celebrare i sacrifici inoltre tutti in precipitio, cose che fa orrore il vederle e da piangere il considerarle; convien anco patientar la total sua rovina per la tempesta venuta li 8 maggio et ultimo zugno decorso in due hore continue con diluvio di pioggia che gli resta levato il pane, il vino et ogni cosa per il corso di più anni, a segno che levatogli dal terremoto l'habitazione e dalla tempesta e diluvio d'acque il modo di vivere, non sapendo come riparare a tante miserie né come ricoverarsi e mantenersi con la loro famiglia sono necessitati per il più andare raminghi per il mondo per procaciarsi il vitto, cosa ben degna di compatimento. Questo miserabile et infelice popolo col mezzo del suo Parocho prega il Serenissimo Principe di essere esentato da ogni gravezza per almeno anni tre...».

Da altre notizie raccolte, risulta che, in tutto l'Asolano, furono completamente rase al suolo oltre 1700 abitazioni e che, nella sola Castelcies, dopo il primo giorno si contarono già 28 morti. I paesi maggiormente danneggiati furono Castelcucco (con il 67% delle abitazioni distrutte), Cavaso (con il 60%), Possagno (56%) e Pederobba (50%).

Nonostante tutte queste avversità, Cavaso seppe risorgere ancora dalla rovina e anche durante il rapido passaggio di Napoleone Bonaparte e il successivo ritorno sotto l'Austria degli Asburgo, il lavoro locale fu motivo di vanto per questa terra.
Sorsero due officine di oreficeria, fabbriche di cappelli di feltro, decine di tintorie, un filatoio, un tessitoio di lana, due tessitoi da cotonine, una fabbrica di acquavite e due cave di pietra, i cui scalpellini producevano mensole, soglie, stipiti, ecc. per edifici civili e religiosi.

Grande rilievo assunsero inoltre, alla fine del 1800, l'agenzia per la produzione di sementi-bachi di proprietà della famiglia Frezza, la filanda per la produzione dei filati di seta, attiva fin dopo il 1950 e la Latteria Sociale di Cavaso. Quest'ultima, molte volte premiata e ancor oggi attiva e in espansione, pone sul mercato derivati del latte assai rinomati che, fino agli Anni Venti, interessavano addirittura i mercati di Milano e di Londra.
Come tutto il resto d'Italia, anche Cavaso, negli anni 1880-1910, risentì della crisi economica dei mercati europei ai quali erano destinati i suoi eccellenti manufatti, soprattutto a causa della concorrenza esercitata dalle nuove grandi industrie.

Piano piano le attività artigianali si ridussero e molti figli di questa terra, pur di non vivere negli stenti e nella fame, scelsero o furono obbligati a scegliere con grande rammarico, la dura strada dell'emigrazione: chi verso le Americhe (Canada, California, Venezuela, Argentina,...), chi verso le terre d'Africa e d'Australia.

La Prima Guerra Mondiale non fu certo un balsamo salutare per la Valle Cavasia! La prima linea che correva dagli Altipiani d'Asiago, al Monte Grappa, alle Meate, al Monte Tomba, al Monfenera, al Piave e al Montello, fu infatti teatro di aspre battaglie, soprattutto in quattro fasi particolari:
1ª Fase: dal 14 al 26 novembre 1917, per la ritirata difensiva sul Massiccio del Grappa dopo la disfatta di Caporetto.
2ª Fase:
dall'11 al 21 dicembre, per la difesa del Massiccio del Grappa.
3ª Fase: (il giorno 30 dicembre 1917), per l'attacco in forze dei Francesi sul Monte Tomba.
4ª Fase: dal 15 giugno al 6 luglio 1918, per la battaglia del Solstizio dalla VaI d'Astico (Vicenza), al Grappa, al mare.
5ª Fase: dal 24 ottobre al 3 novembre 1918, per la battaglia di Vittorio Veneto e la vittoria finale.

La Grande Guerra, pur con la successiva ricostruzione, non risolse però i problemi, soprattutto economici, della povera gente che, al ritorno da profuga nella Bassa Padana o nell'Italia Meridionale, trovò solo devastazione e distruzione in ciò che aveva avuto di più caro.
Le moltissime croci, nei campi fertili che era stata costretta a lasciare le ricordavano il supremo sacrificio di tanti giovani che, per ordini superiori, avevano dovuto combattere contro loro coetanei, magari con gli stessi ideali di libertà e di giustizia, con le stesse aspirazioni per la loro vita futura, ma che indossavano una divisa diversa.
La grande crisi economica mondiale 1929-1936, unita al regime totalitario del Ventennio fascista che portò alla disfatta nella Seconda Guerra Mondiale e alla guerra intestina e fratricida tra partigiani e nazifascisti dopo l'8 settembre 1943, aggravarono ancor più la situazione locale, tanto che nel successivo periodo 1948-1965 molti Cittadini di Cavaso emigrarono verso terre lontane.

Dai 4400 abitanti del 1880, si scese così ai 3900 del 1901 e ai 2600 attuali.

Ancor oggi però, nonostante il continuo spopolamento, i figli di questa terra, siano essi residenti in Cavaso o emigrati all'estero, non dimenticano mai di onorare, con una vita onesta e con l'impegno nel lavoro, questa vallata, della cui rara bellezza nessuno ha osato scrivere, proprio come per la bellezza di una donna: si possono si descrivere le gentili fattezze ed il colorito, ma, pur con le più soavi parole, non si può certo riprodurne il fascino e l'incanto agli occhi di chi non l'ha ancora potuta contemplare.

 

 
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